Il piccolo principe, il libro di Antoine de Saint-Exupéry, dovrebbe essere letto da tutti gli adulti che vogliono ricordare cosa voleva dire essere bambini.
Parlo in prima persona ma sono sicuro di raccontare l’esperienza di molti. Quand’ero bambino uno dei miei libri preferiti era Il piccolo principe, di Antoine de Saint-Exupéry. Si trattava non solo di un libro molto amato, ma anche di un oggetto prezioso. Lo portavo spesso con me e lo custodivo gelosamente; conoscevo a memoria i suoi passi più emblematici, lo citavo in continuazione e ne imitavo le illustrazioni. Poi, con gli anni, è successo che l’ho dimenticato. Certo, avevo ancora in mente delle immagini ben precise, in particolare quella del disegno del boa che digerisce l’elefante e che agli adulti sembra però un cappello, ne ricordavo a spezzoni la trama, qualche personaggio, ma il perché quel libro fosse stato per il me bambino tanto decisivo, devo ammetterlo, l’avevo scordato del tutto.
Così, dopo vent’anni, da adulto – o quasi –, ho deciso di rileggerlo. In realtà, me ne sono reso conto subito, fin dalle prime pagine, Il piccolo principe parla proprio di questo, appunto dello scarto tra adulti e bambini, di come gli adulti si dimentichino così facilmente di cosa voleva dire essere bambini. In un certo senso, la mia smemoratezza era già profetizzata, o meglio, diagnosticata, dentro le pagine del libro.
Il primo sentimento che ti assale, a leggere Il piccolo principe da adulto, è forse la nostalgia che si prova di fronte alla sua enigmaticità. Stiamo parlando infatti di un testo misterioso, carico di simbologie e di significati nascosti. D’altronde, basta pensare a quello che è un po’ il suo motto, la sua frase più celebre: “l’essenziale è invisibile agli occhi”. Sì, ma perché nostalgia? Perché, semplicemente, da bambini gli enigmi si accettavano, ci piacevano, ci si sguazzava dentro. Tutto il mondo intorno a noi era un grandissimo enigma, un posto strano e colmo di sorprese.
È precisamente quello che accade al piccolo principe, che, visitando un pianeta dopo l’altro nel viaggio che lo condurrà infine alla Terra, si ritrova sempre più sorpreso dalle incomprensibili bizzarrie dell’universo. Di fronte agli enigmi lui interroga, fa domande. E anzi: “Il piccolo principe non rinunciava mai a una domanda dopo che l’aveva fatta”. L’adulto, invece, si stanca molto presto di domandare. Per lui le risposte sono più importanti delle domande, ed è così che l’enigmaticità diviene frustrante, e che il mondo perde via via la sua carica di innocenza, di continua scoperta, rivelandosi infine sotto la forma di una grande e dolorosa mancanza.
Se dovessimo dare una definizione da adulti al Piccolo principe, potremmo affermare che si tratta di una novella di formazione. Quella di Saint-Exupéry è infatti una storia carica di utili insegnamenti. Particolarmente significativa mi sembra, tra le varie, la faccenda dei baobab, gli enormi alberi che, se lasciati crescere, si impadronirebbero del minuscolo pianeta del protagonista e finirebbero per farlo scoppiare. L’unico modo per far sì che questo non accada è controllare minuziosamente, ogni mattina, se per caso ne sia comparso qualche piccolo e all’apparenza inoffensivo esemplare, in procinto però di ingrandirsi.
«È una questione di disciplina», mi diceva più tardi il piccolo principe. «Quando si ha finito di lavarsi al mattino, bisogna fare con cura la pulizia del pianeta. Bisogna costringersi regolarmente a strappare i baobab appena li si distingue dai rosai ai quali assomigliano molto quando sono piccoli. È un lavoro molto noioso, ma facile».
Ecco, questo è un consiglio molto saggio soprattutto per una persona adulta: prendersi cura delle cose giorno per giorno, un pezzettino alla volta, senza tralasciarle mai; non aspettare che i problemi diventino mostri giganteschi per decidersi ad affrontarli. C’è, d’altronde, un mito da sfatare: quello dei libri per bambini che sono solo per bambini. La verità, e Il piccolo principe lo dimostra alla perfezione, è che una storia, se è bella, parla a chiunque, sempre, a prescindere dall’età. Non leggiamo libri per bambini soltanto per ricordarci di com’era bella la nostra infanzia, e per commuoverci di fronte a quella nostalgia di cui dicevamo prima. Li leggiamo anche perché, spezziamo una lancia a favore di noi poveri adulti, alcune cose, per esempio la faccenda dei baobab, inizi a capirle bene solo quando diventi grande.
Ma leggiamo libri per bambini anche per guardarci un po’ allo specchio. Tra di noi, tra adulti, lo sappiamo, capita di rado di essere onesti. È difficile mettersi a nudo l’uno con l’altro, ed evitare di mentire, non pensate? Quando un adulto scrive una storia per un bambino, invece, chissà perché di solito riesce a dire la verità. Il piccolo principe dipinge il mondo adulto in tutta la sua miseria e la sua ridicolaggine. Per una buona parte del libro Saint-Exupéry racconta il girovagare del protagonista nello spazio, un luogo pieno di tanti piccoli pianeti, abitati ognuno da un singolo uomo che è quasi sempre, indistinguibilmente, capriccioso, egoista e soprattutto solo.
Su uno dei pianeti vive per esempio il re, che vuole che gli si obbedisca ma che non ha nessuno a cui dare ordini, e sugli altri ci sono l’ubriacone, il vanitoso, e poi l’uomo d’affari che non smette mai di lavorare, e ancora il presuntuoso geografo, che pretende di poter conoscere il mondo senza averlo mai visitato, e il lampionaio, che compie la sua insensata mansione di accendere e spegnere continuamente una luce, sprecando così tutto il suo tempo, e quindi la sua vita.
È questa una rappresentazione tristemente veritiera del mondo adulto: c’è la solitudine, la presunzione, l’assurdità della burocrazia e delle norme sociali; c’è la brama del potere, la malinconia del vizio. Esiste un fondo di oscurità, dentro Il piccolo principe, un pozzo male illuminato, una ferita. Un altro suo insegnamento, di quelli che si possono cogliere solo da grandi, è forse questo: la verità non è una cosa molto semplice da accettare. Se da bambini, di fronte alle figure grottesche degli adulti incontrati dal protagonista ci veniva soprattutto da ridere, adesso non è più così. Riconoscerci in quelle tristi sagome di uomini soli è purtroppo abbastanza immediato. Diciamoci la verità, non è che in quell’elefante digerito da un serpente adesso ci vediamo anche noi un banalissimo cappello?
Altra cosa che facciamo noi adulti, poi, è quella divertente operazione che consiste nel trovare corrispondenze tra la vita degli scrittori e le storie che raccontano. Da questo punto di vista, il caso del Piccolo principe è abbastanza emblematico. Fu Saint-Exupéry stesso, infatti, a smarrirsi, per via di un’avaria del suo aereo, nel mezzo del Sahara, e a rischiare di morire di sete, esattamente come il narratore del libro, che proprio nel deserto farà la conoscenza del piccolo principe. Ma l’enigma è soprattutto quello legato alla sua morte: lo scrittore francese scomparve misteriosamente durante un volo nel corso della Seconda guerra mondiale. Le analogie con la storia del Piccolo Principe, non solo gli aerei e il deserto, ma anche la sparizione e il mistero, rendono le simbologie del libro ancora più interessanti. Ed è forse proprio a questo che il lettore si ritrova a pensare nelle pagine finali.
L’aereo di Saint-Exupéry fu ritrovato solamente nel 2004, sessant’anni dopo la sua morte, ma il mito dello scrittore-pilota rimane ancora oggi una domanda aperta, proprio come quella del narratore che, alla fine della storia, si interroga sul destino del piccolo principe, del fiore che cresce sul suo pianeta e della pecora che ha disegnato per lui, e si interroga forse anche sulla veridicità di quell’incontro fatale. Allo stesso modo, capita a tutti di chiedersi se anche noi stiamo stati davvero bambini, e se mai rincontreremo il nostro personale piccolo principe. Se insomma quei riflessi dell’infanzia sono veri oppure sono solamente un bagliore, un falso, e se come nel libro il nostro io bambino è volato via, sparito per sempre, diretto verso pianeti e galassie lontane e inimmaginabili.
Editor della sezione cultura
Docente e amante della cultura rinascimentale, ho scelto di collaborare a questo progetto per uscire dalla mia zona di comfort. Non avevo mai scritto per un giornale online.
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